Una Passione di Famiglia

UNA PASSIONE
Perché si può essere presi dalla passione di produrre vino? Me lo chiesi insieme a Luigi Veronelli (in foto a destra), il filosofo-scrittore di vino più importante d’Italia, quando, moltissimi anni fa, il mio socio di allora Edmond de Rothschild ci invitò a Chateau Clark per passare un lungo fine settimana insieme a Emile Peynaud, il più grande enologo non solo di Francia, professore all’Università di Bordeaux. Edmond era il primo singolo azionista di Chateau Lafite, ma i suoi cugini con cui poi ho fatto nascere Rocca di Frassinello in Maremma, non erano inclini a coinvolgerlo nella gestione. Per questo aveva deciso di acquistare Chateau Clark con l’ambizione di farlo diventare Lafite degli anni 2000. Edmond non ce l’ha fatta perchè ha lasciato questo mondo prima di riuscirci. Ma in quel fine settimana, diede a me e a Veronelli la risposta alla domanda che insieme ci eravamo posti, lui narratore, io giornalista già conquistato dalla passione di fare vino. Il vino diventa passione, secondo Edmond e io condivido, perché è una sfida permanente, quasi come diventare challanger del detentore dell’America’s Cup di vela ogni anno, per tutto l’anno. Perché, fare vino, come competere nell’America’s Cup, impone di considerare ogni dettaglio fondamentale, alla spasmodica ricerca delle soluzioni migliori quando poi ci si scontra con la variabilità climatica, anche se l’equipaggio a bordo, o in cantina, può essere perfetto, non sai mai come andrà; il campo di gara pensi di conoscerlo alla perfezione, come le tue vigne ma c’è sempre l’imprevisto; il vento che cambia, il terreno della vigna che, diverso o diversissimo anche più volte nello spazio di un ettaro, può dare frutti variabili da un’annata all’altra.

Si fa tutto per raggiungere il meglio, ma c’è sempre l’imprevisto, che emoziona e sorprende. È così perché la vigna è vita, vive e reagisce spesso come gli uomini se non sai accarezzarla, curarla come la persona più cara che hai sulla terra. Per non parlare di quando il vino è finalmente in cantina e l’energia che ha ricevuto dalle radici della vite continua a essere viva; prima nei tini di vinificazione e poi nelle barrique o carati, come in italiano li chiamava giustamente Veronelli. Luigi ricordava sempre il proverbio italiano secondo cui “il vino buono sta nella botte piccola”, coniato ben prima della scoperta fortuita delle qualità della barrique, che nell’800 veniva usata come contenitore sui velieri per il trasporto del vino da Bordeaux in Inghilterra. Come ci spiegò il professor Peynaud nella lunga intervista divenuta libro, 100 domande e 100 risposte sulla barrique (che pubblicammo con la sigla Castellare-Fattoria editrice e che è stato molto importante per eguagliare e poi superare con i vini italiani la qualità dei francesi) la piccola dimensione (225 litri) consentiva a una maggiore quantità di vino di essere a contatto con il legno e poi le doghe sottili, più sottili delle grandi botti, consentivano e consentono il passaggio dell’ossigeno che trasporta nel vino i tannini nobili delle querce del Massiccio centrale.

E proprio per questo con Edmond, innamorato come pochi dell’Italia e dei suoi vini, fondammo la Compagnie vinicole conseille per l’interscambio di tecnologia fra l’Italia e la Francia.
La sfida (e quindi la passione) è il motore di ogni attività, ma appunto nel fare vino e nell’andare a vela c’è sempre l’emozione in più dell’imprevisto. Nella nostra famiglia da molti decenni la passione per la vela e per fare vino si sommano. Come per Edmond, che teneva al suo Gitana, con cui regatava nei maxi yacht, almeno quanto a Lafite e Clarck. Sarà stato per questo che siamo stati grandi amici. E certamente è stato quel primo legame con la più famosa famiglia di banchieri del mondo che poi, dopo aver fatto crescere Castellare di Castellina nel Chianti classico, ha reso possibile far nascere insieme a Eric de Rothschild (in foto a destra con Paolo Panerai), cugino di Edmond e presidente di Domain Baron De Rothschild-Lafite, la seconda azienda della nostra famiglia, Rocca di Frassinello, nella Maremma Toscana a pochi chilometri da Bolgheri.

UN’AMICIZIA
A far nascere l’amicizia con Eric e con il suo bravissimo chief executuve officer (Ceo), Christophe Salin, è stata la quotazione in Borsa di Class Editori, la casa editrice che ho fondato nel 1986. Eric e il cugino David avevano fatto rifiorire la Banque Rothschild di Parigi dopo la nazionalizzazione della precedente, imposta dal presidente francese Francois Mitterand durante il suo primo mandato, quando era stato sostenuto dal Partito comunista francese.La filiale di Milano della nuova Banque Rothschild fu advisor della quotazione e così ci fu occasione di incontrarci con Eric. Durante un suo breve soggiorno a Bolgheri ci trovammo a pranzo al Gambero Rosso creato da uno degli chef più geniali del mondo, Fulvio Pierangelini (in foto a sinistra).
Durante il pranzo (Fulvio aprì all’una eccezionalmente per noi) raccontai a Eric che non essendoci più terreni vitabili in Chianti avevo comprato 50 ettari nell’entroterra di Castiglione della Pescaia e di Punt’Ala. “Andiamo a vederli”, mi rispose Eric con la curiosità che lo anima da sempre. Una volta lì, apprezzando la posizione e i terreni vergini da vigne mi disse: “Se riesci a comprare i vari poteri della vallata, 500 ettari, facciamo la joint venture, perché, Paulò, le vin est un affair fonciér pour nostres nephews”, in un mix spontaneo di francese e inglese. L’idea di Eric era ed è che al di là della passione, il vino può consentire una rivalutazione dei terreni e quindi è bene, prima di impiantare le vigne, comprare molto terreno.

UN PROGETTO
Rocca di Frassinello, disegnata da Renzo Piano, è stata inaugurata il 21 di giugno, solstizio d’estate, del 2007. Nel realizzarla, prima joint venture nel vino fra Italia e Francia, la passione che ci ha spinto non è stata quella di creare un monumento al committente o al vino. Come dice Renzo Piano una cantina è pur sempre uno stabilimento, anche se vi si trasformano prodotti della natura e non si costruiscono automobili.
In piena sintonia con Renzo, amico fraterno da ben prima del suo primo exploit, la progettazione del Boubourg a Parigi, abbiamo messo grande passione nel fare un laboratorio, il più efficiente e razionale possibile, senza marmi o lussi, con le pareti in cemento faccia a vista e con un layout completamente innovativo. Un grande quadrato, con al centro il momento più alto dell’elevazione del vino: la barricaia, per 2 mila barrique; intorno, come una grande cornice, con due lati a un solo livello per i tini, e due lati a due livelli per le altre funzioni.

 

Tutto è organizzato per non dover mai usare le pompe: l’uva arriva sul grande piazzale, che Renzo ha battezzato sagrato, viene selezionata e finisce nei tini di fermentazione per forza di gravità, attraveso delle finestrelle sul pavimento del sagrato. Anche Renzo aveva già provato la passione di fare vino, nella cantina di famiglia, a Ovada, in Piemonte, tanto che mi rinfaccia spesso di aver dedicato a Rocca di Frassinello, la sua unica cantina, molto più tempo che alla realizzazione della sede del New York Times. E anche Renzo ama la vela quanto l’architettura.
I quasi 100 ettari di vigne, essendo nati in joint venture italo francese, hanno vitigni equamente divisi: 50% italiani, 50% francesi e tutti i vini sono blend, escluso Baffonero che, sempre nello spirito dell’America’s Cup, è challenger di Masseto, (100% merlot), il più famoso vino italiano dei nostri amici Marchesi Frescobaldi, proprietari di Ornellaia. Esattamente l’opposto della filosofia di Castellare di Castellina.

UN SOGNO
L’heritage dei giorni a Chateau Clark con Peynaud era stato straordinario e mi spinse a tre decisioni per Castellare:
1) avrei puntato diritto sul Sangiovese, che in Chianti chiamiamo Sangioveto, visto che a giudizio di Peynaud era un vitigno dalle straordinarie potenzialità inespresse
2) avrei impiantato (cosa che avvenne con la collaborazione del professor Attilio Scienza dell’Università di Milano) la prima vigna sperimentale del Chianti, con 30 cloni diversi di Sangioveto, colmando una mancanza delle autorità enologiche
3) il vino più grande, più importante che avremmo fatto a Castellare sarebbe stato a base di Sangioveto e di un altro vitigno autoctono, la Malvasia nera, sparigliando rispetto alle scelte del più grande enologo italiano, Giacomo Tachis (in foto a destra), che per il Tignanello aveva deciso di unire al sangiovese i due principali vitigni francesi.


La passione andò alle stelle nel 1988, quando nella prima edizione della Top 100 di Wine Spectator, già divenuto magazine-Bibbia del vino, I Sodi di S.Niccolo, come con Veronelli battezzammo quel vino sognato, si piazzò al sesto posto fra tutti i vini del mondo. Erano I Sodi di S. Niccolò 1985. I Sodi di S. Niccolò dell’annata successiva, il 1986, replicarono piazzandosi nella Top 100 come primo vino italiano. Quasi come aver vinto l’America’s Cup. Ma molto di più perché fu l’occasione per conoscere a fondo Tachis, prossimo a lasciare Antinori. Con Giacomo non c’è mai stato un rapporto professionale ma solo di amicizia, con straordinari stimoli che da lui sono venuti a me e ad Alessandro Cellai, enologo-capo e Ceo di tutte le nostre cantine.

UN CAMMINO CHE CONTINUA
La frequentazione e la stima di Tachis per Alessandro, scelto dal creatore di Tignanello, Sassicaia, Solaia e Turriga come suo delfino ideale, ci ha fatto nascere la passione per le altre due aziende di Domini Castellare di Castellina, Feudi del Pisciotto e Gurra di Mare. Tutte e due in Sicilia. Feudi si trova nel territorio dell’unica Docg siciliana, il Cerasuolo di Vittoria, e Gurra di Mare con la vigna fin sulla spiaggia a Menfi, la patria di Planeta. È stata una passione violenta perchè Tachis, piemontese diventato famoso per vini toscani, è stato l’artefice della rinascita del vino della Sicilia, come consulente dell’Istituto Regionale della vite e del vino, probabilmente l’iniziativa più meritoria che sia stata presa nell’Isola più straordinaria del Mediterraneo, ma anche la più devastata da mille inefficienze. Tachis ha spiegato a me e ad Alessandro, come pensavano anche Leonardo da Vinci e Galileo Galilei ma anche Dante, che il Vino è Luce e Umore (nella foto accanto la copertina del libro edito da Class Editori “Giacomo Tachis e la luce di Galileo”). E che in nessuna parte del mondo la luce (il sole) e gli umori del terreno sono così straordinari come in Sicilia: che non a caso, millenni fa, era chiamata Enotria e che per trasposizione ha fatto assumere alla parola enos il significato di vino, donde enoteca. Per far crescere la nostra passione per fare vino, Tachis ci ha lanciato una sfida ancora più eccitante: ci ha suggerito di produrre in Sicilia vitigni che nessuno penserebbe che siano adatti a dare grandissimi vini nel caldo della Sicilia. Così abbiamo piantato Semillon e Gewürztraminer per fare il passito e Pinot nero per fare il vino più alto di Feudi. La sfida del Pinot nero, in particolare, è straordinaria, perché il sogno di ogni produttore è vinificare il più nobile dei vitigni. In Sicilia ci avevano provato anche altri, ma solo i segreti che ci ha donato Tachis e la passione, la competenza e la specializzazione di Alessandro per il vitigno più difficile della terra, hanno permesso di cogliere non il caldo, ma la luce e gli umori dei terreni della Sicilia. Il nostro Pinot nero si chiama L’Eterno e sulla etichetta compare la mano della scultura straordinaria dell’Eterno realizzata da Giacomo Serpotta, il più grande scultore nella storia della Sicilia. Feudi del Pisciotto ha finanziato il restauro di questa scultura, con parte del ricavato della vendita dei vini che portano le etichette disegnate dagli stilisti di moda italiani, da Versace a Ferrè, a Giambattista Valli, Alberta Ferretti, Missoni, altri ancora tutti hanno accettato di rinunciare alle royalties per contribuire alla rinascita di Sicilia-Enotria. Per noi un’altra passione, grande come quella del vino e che con il vino si fonde, perché il vino è civiltà, è storia e, derivando dal latino venus, è bellezza.